lunedì 2 maggio 2011

Bufale veniali e lapsus inaccettabili

Siamo nella chiesa di san Babila a Milano giovedì 17 marzo 2011, giorno dedicato all’Unità d’Italia, in cui i monarchici hanno deciso di celebrare una santa Messa in suffragio dei quattro Sovrani di Casa Savoia che hanno retto la Nazione dal 1861 al 1946. Nonostante la pioggia la città è in fermento per la felice ricorrenza e la chiesa è affollata sia di cittadini fedeli all’ideale Sabaudo che di Cavalieri di alcuni Ordini Cavallereschi e di Guardie d’Onore delle Tombe Reali. All’inizio della funzione il sacerdote legge un caloroso messaggio, graditissimo, di S.A.R. il Principe Vittorio Emanuele, che si dichiara vicino a tutti i partecipanti, poi il medesimo sacerdote elenca i nomi dei Re d’Italia che si vogliono onorare: Carlo Alberto, Vittorio Emanuele II, Umberto I e Vittorio Emanuele III: ovviamente male informato include Carlo Alberto che non fu mai Re d’Italia e tralascia Umberto II. Naturalmente è stato bello ricordare anche Carlo Alberto, ma non citare Umberto II, l’ultimo amatissimo Sovrano contemporaneo pur nell’esilio di molti dei presenti è stato un errore. A proposito di bufale, questa volta televisive, durante la telecronaca su RAI 1 delle cerimonie romane per i 150 anni dell’Unità del Paese, alcuni docenti Universitari commentano le varie tappe del Presidente Napoletano e viene ricordato quanto era frammentato il nostro Paese nel 1861 prima dell’Unità citando fra gli Stati pre-unitari il Ducato di Lucca ignorando che questa piccola entità statale non esisteva più dal 1847 con la morte di Maria Luisa d’Austria, decesso che aveva consentito ai Borbone di rientrare nel ducato di Parma momentaneamente retto vita natural durante dalla moglie di Napoleone, mentre Lucca dove erano provvisoriamente parcheggiati i Borbone, secondo i trattati del Congresso di Vienna, tornò a riunirsi al Granducato di Toscana. Altro lapsus televisivo: viene ricordato che nel 1911 in occasione del 50 anniversario, il Re Vittorio Emanuele II accompagnato dalla Regina Elena partecipò alle cerimonie: ovviamente si trattava di Vittorio Emanuele III. Infine viene ricordato che anche la Germania nel 1870 si unificò in un unico Impero sotto la Casa di Hohenzollern e il neo-Kaiser si chiamò Guglielmo I, mentre in Italia  il nuovo Re volle mantenere la numerazione di quando era Re di Sardegna. Ma, diciamo noi, Guglielmo I portava tale numero anche quando era Re di Prussia, non essendoci stati altri Sovrani di questo nome, quindi nel suo caso non ci fu un problema di scelta ma di logica: pertanto un paragone fuori luogo.

Antonino Salemme - un caduto nella Seconda guerra mondiale

Nel numero 37 del 1942 del settimanale illustrato per ragazzi Intrepido viene ricordato con fervide parole della direttrice la nota scrittrice Wanda Bontà il sacrificio di Antonino Salemme caduto per la Patria. Secondo le precise regole del famigerato MinCulPop  (il Ministero della Cultura Popolare voluto da Mussolini) tutti i giornali periodici oltre ai normali programmi dovevano contenere almeno una pagina dedicata alle eroiche azioni dei combattenti italiani impegnati nella guerra in corso. Però le parole dedicate dalla direttrice a Salemme erano spontanee se non doverose e non di certo di circostanza. Antonino Salemme era tenente colonnello e contrariamente a quanto sembrava in un primo tempo cadde a Tobruk e non a El Alamein, entrambe località del continente Africano dove dapprima il sudore dei lavoratori italiani poi il sangue dei nostri eroi hanno lasciato una traccia incancellabile. Tobruk poi è in questi mesi un nome di grande attualità per le vicende libiche che si rincorrono nei notiziari. Salemme  che era nato a Gaeta nel 1893, era un abilissimo disegnatore-illustratore la cui arte era particolarmente adatta alla nascente editoria per la fascia di età dai 7 ai 18 anni e anche oltre, in fase di sviluppo negli anni ’30 dello scorso secolo. Alcuni editori come Nerbini o Mondadori avevano varato delle pubblicazioni come “L’Avventuroso” o “Topolino” di immediato impatto sui lettori: non esisteva la TV e quelle storie immaginifiche importate dall’America avevano incantato i ragazzi Italiani. I giovani fratelli Domenico e Alceo Del Duca vararono dal 1935 al 1937 pubblicazioni analoghe come  Monello o Intrepido scarse di storie di importazione ma ricche di vicende create da artisti italiani (dove persino un grande come Walter Molino si fece le ossa). Fu proprio nell’Editoriale Universo dei fratelli Del Duca che si inserì alla grande Antonino Salemme. I testi delle storie erano principalmente fatte in casa da Treddi, lo pseudonimo di Domenico Del Duca, coadiuvato dalla suddetta Wanda Bontà e dall’altra Maga di romanzi sentimentali-burrascosi che fu Luciana Peverelli, i cui contenuti romantici non escludevano le giovani lettrici che ne furono veramente conquistate. Il tratto di Salemme poi era dolce e fluente e quindi adatto a queste impostazioni. Fu un notevole successo e gli Editori poterono dichiarare che Intrepido era il più diffuso settimanale del settore. Secondo alcuni commentatori del dopoguerra sembra che Salemme fosse di religione ebraica ma i Del Duca, notoriamente liberi  e democratici consentirono all’artista di continuare il suo lavoro sino all’autunno del 1941 quando per le vicende belliche Salemme fu richiamato al fronte e dove diede la vita. Alla sua memoria fu conferita una medaglia di bronzo che i suoi eredi, con un gesto brillante, hanno legato al Museo Storico di Bergamo, assieme ad altri cimeli del pittore. Ci sono ancora alcuni anziani che conservano gelosamente le raccolte dei giornalini illustrati anche da Salemme e ogni tanto le sfogliano come si fa per le cose più care e ricche di ormai lontanissimi ricordi…

La tenacia dei Savoia-Carignano

Con la morte del Re Carlo Felice, nel 1831, terminò la lunga anticamera dei Principi di Carignano in attesa del trono di Sardegna. Questo ramo cadetto di Casa Savoia aveva affiancato lealmente per circa duecento anni, dapprima i vari Duchi sovrani poi i Re, offrendo il sostegno morale e il braccio quando ce ne fu la necessità, per superare e risolvere i problemi che via via si presentavano. Ma facciamo un passo indietro per mettere in risalto il prestigio genealogico di questa Casata che anche a giudicare dalle principesse straniere che vi entrarono da spose, godeva della stima e della fiducia di diversi Sovrani europei. Intorno al 1520 il Duca Carlo III aveva preso in moglie l’infanta Beatrice del Portogallo, figlia del Re di quel paese Emanuele I il quale era già suocero dell’Imperatore Carlo V: Carlo III di Savoia si ritrovò quindi imparentato con i più potenti sovrani dell’epoca. Il figlio di Carlo III e di Beatrice fu nient’altro che il grande Emanuele Filiberto che riportò il Ducato all’antica posizione di prestigio anche attraverso le sue nozze con Margherita di Francia la figlia del Re di quella Nazione il famoso Francesco I. A sua volta il loro figlio Carlo Emanuele I sposò Caterina Micaela d’Asburgo, infanta di Spagna nata dalle celebratissime nozze tra il Re Cattolico di Spagna Filippo II e Elisabetta di Valois, colei che avrebbe dovuto sposare il figlio e dovette unirsi al padre contemplandone “triste in volto il crin bianco” come ci ricorda Giuseppe Verdi nell’opera Don Carlo. Nell’abbondante figliolanza di Carlo Emanuele I  e Caterina Micaela ricordiamo l’erede Vittorio Amedeo I che nella grande tradizione famigliare scelse come moglie la principessa Cristina di Borbone di Francia, figlia del Re Enrico IV. e il cadetto Tomaso Principe di Carignano, stipite di questo ramo cui abbiamo fatto cenno all’inizio di questo articolo. Da Tommaso attraverso cinque generazioni si giunge a Carlo Alberto a cui spettò il trono di Sardigna per legittima successione ereditaria. Tenuto conto che la giovinezza di Carlo Alberto si svolse nell’epoca della Restaurazione post-Napoleonica, fu scelta logica che la sua sposa fosse gradita a Vienna dove il Cancelliere Metternich faceva il bello e il cattivo tempo. Questa giovane moglie aveva poi dalla sua parte il dono di un bell’aspetto e di un carattere dolcissimo, tale è descritta Maria Teresa la figlia di Ferdinando III d’Asburgo Lorena Granduca di Toscana  e di Luisa dei Borbone di Napoli. In parallelo l’unica sorella di Carlo Alberto la Principessa Elisabetta di Savia Carignano giungeva a Vienna come moglie amatissima dell’Arciduca Ranieri, fratello cadetto dell’Imperatore Francesco II (poi I come Imperatore d’Austria), e da queste nozze nasceva a Milano, dove Ranieri svolgeva le funzioni di Vice-re del Lombardo Veneto, l’Arciduchessa Maria Adelaide che avrebbe poi sposato il  cugino Vittorio Emanuele II, sempre nella scia delle unioni di alto livello nobiliare e politico. Questi tre matrimoni tra i Savoia Carignano e gli Asburgo-Lorena non furono minimamente di remora o di ostacolo per i due ultimi Re di Sardegna per abbracciare l’idea grandiosa che si stava affermando negli animi degli Italiani dell’Unità del Paese. Certamente furono lacerati affetti famigliari sia nei riguardi dei parenti di Vienna che di quelli di Firenze nonché  verso i congiunti di Napoli, ma quando la Politica, unita all’amor di Patria dominano gli eventi è nella tradizione di Casa Savoia di non avere alcun dubbio sulle scelte da fare. La stessa determinazione e tenacia nella coerenza del comportamento riconosciute da tutti gli storici e commentatori che si sono occupati delle vicende del nostro Paese e dei Sovrani che si sono succeduti sul trono. Qualità mantenute anche nell’esilio degli ultimi sovrani d’Italia e vive nei cuori dei loro Eredi, ai quali guardano con affetto milioni di cittadini Italiani, che non perdono la speranza di un rinnovarsi futuro dei destini della Nazione nel solco del patto del 1861 tra gli Italiani e Casa Savoia.