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Un noto filosofo italiano ha dichiarato e scritto in un suo saggio che il più antico ricordo che affiora nella sua mente, è la sua immagine di bambino di quattro anni che si rifugia sotto il tavolo della sala da pranzo nella casa dove viveva con i suoi genitori. Il tavolo rappresenta un riparo dai pericoli che possono minacciare la sua breve esistenza, in cima dei quali sta la eventualità più terribile, cioè la morte. Senza raggiungere atmosfere così drammatiche il ricordo più lontano che credo di conservare nel mio animo, è che mi trovo su un treno proveniente dall’Emilia e diretto a Milano. Sono assieme ai miei famigliari e ci accingiamo a togliere le valigie dalle apposite reticelle dove le avevamo inserite alla partenza: ormai siamo quasi arrivati e dobbiamo prepararci a scendere, il finestrino è chiuso e io bambino di sei/sette anni guardo fuori e dalle decine o centinaia di binari quasi intrecciati, mi appaiono sulla sinistra dove ci stiamo per inserire le volte immense e cupe delle tettoie delle gallerie. Sono tre o quattro una gigantesca al centro e le altre leggermente inferiori per ampiezza si trovano sul lato destro, l’unico che mi è consentito di vedere. Il treno sta rallentando la velocità e quelle orrende volte, come bocche spalancate, stanno per inghiottirci. Ecco realizzarsi un incubo, la fine della spensieratezza delle vacanze in Emilia la terra delle burle e dei giochi verso Milano il luogo dove tutto è proibito e dove si concretizzano tutti i doveri, principalmente quelli scolastici. Quelle bocche nere che per qualcuno sono un modello di architettura ferroviaria per me sono il mostro che sta per cancellare con la sua voracità un periodo felice. Ci vorranno anni perché la mia opinione si modifichi, perché Milano la mia città che oggi adoro cambi l’aspetto ostile e severo ai miei occhi di bimbo e diventi l’unico posto dove mi fa piacere di vivere. Ma questo è un altro discorso.