mercoledì 21 dicembre 2011

Esecuzione sommaria

Rai Storia trasmette ogni giorno programmi molto interessanti sugli avvenimenti che riguardano il passato del nostro Paese, e anche altre reti ci mostrano filmati che spaziano su vicende dell’antichità sino a fatti più recenti. Particolare attenzione è rivolta allo svolgersi della parabola del partito fascista poi della Seconda guerra mondiale e al suo drammatico epilogo. Sovente abbiamo rivisto le immagini di Piazzale Loreto con la lugubre esposizione dei cadaveri di Mussolini, della sua amante, e dei gerarchi che erano stati fucilati a Dongo. Non abbiamo la pretesa di aver visto tutto però in generale quando si tratta di rievocare questa pagina di storia si trascura di parlare di Achille Starace e del trattamento che gli fu riservato il 29 aprile 1945. Si tratta di una pagina della storia italiana che potrebbe stare alla pari con le “stragi di settembre del 1792 a Parigi” dove il popolo durante la Rivoluzione Francese diede sfogo ai suoi istinti più inumani. Starace era stato Segretario del Partito Nazionale Fascista verso la fine degli anni ’30 poi era stato accantonato e nel periodo della guerra e della Repubblica di Salò non aveva ricoperto alcuna carica politica, quindi non era responsabile di stragi nazi-fasciste o fatti del genere. A suo tempo era stato uno dei più zelanti esecutori delle parole d’ordine del duce: “Abolite il Lei e adottate il Voi” “Abolite la stretta di mano e adottate il saluto fascista col braccio destro alzato e la mano tesa in alto” e altre amenità del genere, queste erano le sue massime colpe. Sembra che vivesse anche in ristrettezze economiche il che dimostra che nel periodo della sua presenza in politica non si era arricchito come altri gerarchi e viveva a Milano emarginato anche dalla sua famiglia. Nei giorni di fine aprile 1945 mentre in tuta da ginnastica si dirigeva verso un campo di allenamento sportivo non temendo pericoli avendo ottimisticamente la coscienza pulita, fu arrestato da una pattuglia di insorti e dopo una parvenza di processo al Politecnico fu condotto in Piazzale Loreto dove si stava svolgendo la macabra esposizione dei cadaveri dell’ex dittatore e dei suoi collaboratori. Qui pare che gli sia stato imposto di salutare il corpo del suo antico capo e poi una sventagliata di mitra mise fine al suo calvario. Immediatamente dopo il suo cadavere fu appeso per i piedi al famoso traliccio del distributore di benzina accanto alle altre salme. Si era alla fine di un periodo terribile di privazioni e di soprusi e si può comprendere l’esasperazione della folla con reazioni di odio primordiale di cui tralasciamo la descrizione,  ma la vicenda dell’esecuzione di  Achille Starace va al di là di una manifestazione di sadismo psicologico che non fa onore alla pagina bella della guerra di liberazione nazionale e forse per un senso di vergogna tuttora se ne parla così poco.

Riflessioni sull’11 settembre,

L’orrore di quel fatto non ha paragone nella storia moderna per l’entità del numero delle vittime e per il modo con cui alcuni sopravvissuti momentaneamente all’impatto degli aerei contro le torri gemelle, preferirono suicidarsi gettandosi dalle finestre per non cedere alle fiamme…..Solo il lancio delle bombe atomiche su Hiroscima e Nagasachi nel 1945 può avere una parvenza di analogia con quanto avvenuto a New York. Oppure gli interventi delle fortezze volanti americane contro anche le città italiane durante la seconda guerra mondiale possono avere una certa similitudine dal punto di vista delle barbarie cui può indurre una guerra moderna. Non possiamo essere precisi su quali forze aeree alleate primeggiarono nel bombardare le nostre città durante gli anni 1940-45: se fu la R.A.F. inglese o i quadrimotori degli U.S.A. ad abbattere i nostri monumenti, ma bisogna dire che  le atomiche contro i giapponesi riuscirono finalmente a costringere alla resa l’Impero del Sol Levante e che i bombardamenti alleati colpirono le città italiane e tedesche cioè delle Nazioni che avevano causato la guerra, iniziando a colpire incivilmente le città inglesi come Coventry o Londra dove le micidiali V1 e V2 provocarono distruzioni e migliaia di vittime, mentre le metropoli americane  non subirono alcun attacco a causa delle distanze dalle basi di lancio degli ordigni: con i fatti dell’11 settembre 2001 anche gli americani hanno constatato cosa vuol dire subire ingiustamente un attacco in casa propria. C’è chi cita con indignazione l’alto numero di vittime civili causate dal bombardamento di Dresda, il capoluogo della Sassonia in Germania nel febbraio del 1945 ma non dice che quelle stesse popolazioni erano i fedelissimi di Hitler cioè di colui che aveva istituito i lager dove venivano sterminate migliaia di persone solo per motivi razziali, con un consenso popolare totale e assoluto. Quello stesso Hitler che fu costretto a suicidarsi perché nessuno dei suoi sudditi lo giudicò colpevole e quindi meritevole di una pallottola, cosa che invece sono abili nel fare altri popoli che quando le cose vanno male sanno ammazzare gli ex capi che avevano osannato fino a poco prima…..Tornando ai fatti dell’11 settembre 2001, in Italia dove l’enfasi domina sovente le azioni degli uomini, in diverse città vengono dedicate strade alle vittime di quella strage, povere vittime incolpevoli come i morti dei bombardamenti alleati come i piccoli martiri di Gorla, ai quali non mi risulta che nessuna città inglese o statunitense  abbia intitolato vie o piazze.. Capisco di stare sostenendo tesi contraddittorie, ma voglio per lo meno evidenziare un fatto e cioè che le vittime civili di attentati o di fatti di guerra sono sempre meritevoli di pietà, siano i fedeli nazisti abitanti di Dresda che i cittadini americani, mentre chi provoca quei fatti delittuosi merita soltanto il biasimo di chi si proclama democratico.

Regine Sabaude

Fra tutte le Regine consorti di Re di Casa Savoia forse la più sconosciuta quella di cui si sono occupati di meno gli storici è la Regina Polissena, moglie di Carlo Emanuele III, secondo sovrano della Sardegna dopo che l’isola è passata sotto il dominio della Dinastia, consentendo appunto ai Savoia di vantarsi del titolo di Re. Eppure Polissena, anche se ha avuto una vita senza scosse né particolari traumi politici, è stata una persona degna della massima stima e ammirazione, così come la gran parte delle altre consorti di Re Sabaudi. Ella ci appare in tutto il suo splendore regale nel magnifico ritratto dipinto da una celebre artista e cioè la Maria Giovanna Battista Clementi detta la Clementina, un olio su tela di cm. 165 x 110 che fa bella mostra di se nella Palazzina di Stupinigi a Nichelino. Nel ritratto appare seduta, indossa un ricco vestito e magnifici gioielli, presenta un viso dai lineamenti regolari e un’espressione serena se non addirittura lieta mentre accarezza due dei suoi bambini, tra cui colui che dopo il padre salirà al trono col nome di Vittorio Amedeo III. Polissena era tedesca di nascita, apparteneva alla casa dei Principi d’Assia-Rheinfels-Rotenburg ed era legata da parentela con decine di altre famiglie germaniche  che, come la sua costellavano quello che era ancora definito in quella prima metà del 1700 il Sacro Romano Impero. Con uno sguardo a ciò che accadde dopo di lei possiamo ricordare che con i suoi nipoti (figli del suo figlio sopra citato) i quali vissero e regnarono nel periodo Napoleonico e poi della Restaurazione, si estinse il ramo primogenito della famiglia a cui succedette il ramo cadetto di Savoia Carignano con Carlo Alberto. Una sorella di Polissena, di nome Cristina e quindi come lei Principessa d’Assia, fece il suo stesso percorso dalla Germania a Torino quale consorte dei Principe Luigi Vittorio di Savoia Carignano ed è la bis nonna proprio di Carlo Alberto. Entrambe le sorelle furono quindi felicemente prolifiche e proprio tra le figlie di Cristina ricordiamo l’infelice Maria Teresa Principessa di Lamballe, maritata in Francia al Principe di quel titolo, parente della famiglia Reale, e dopo la vedovanza e grande amica della Regina Maria Antonietta, fu travolta nel turbine della Rivoluzione Francese e massacrata nelle stragi di settembre del 1792. Nel 1925 nel Castello di Racconigi si celebrava un altro matrimonio tra gli Assia e i Savoia quello tra Mafalda, la secondogenita del Re Vittorio Emanuele III e il Principe Filippo d’Assia Cassel. Quindi si riannodava un legame che aveva radici lontane. Sebbene terminata in modo tragico questa unione fu serena e rallegrata da ben quattro figli. Ricordiamo che la salma della Principessa Mafalda, riesumata dal campo di Bukenwald riposa in Germania nel mausoleo della Casa d’Assia.

Tentativi di sfascio

A Filettino, un ridente paesello in provincia di Frosinone, il sindaco appoggiato dalla giunta e pare da tutta la popolazione, avrebbe deciso di proclamare l’indipendenza dal resto dell’Italia e di assumere la forma di Principato indipendente, in analogia, modestia a parte, del Principato di Monaco perla della Costa Azzurra. Questo per protestare contro le angherie di una località confinante beneficiaria delle risorse di Filettino nonché per il rilancio turistico ed economico che deriverebbe dal frastuono mediatico di un fatto simile, infine ricordando che nel lontano passato alcune famiglie della nobiltà avevano ostentato il medesimo titolo. L’offerta della corona sarebbe stata fatta nientemeno che al Principe Emanuele Filiberto di Savoia il quale pare che abbia avuto il buon senso, ringraziando, di rifiutare. Effettivamente dalle località di Piemonte e di Venezia di cui porta i titoli principeschi a Filettino sarebbe proprio stato un salto all’indietro, senza considerare altro… D’altra parte con tanti personaggi circolanti in cerca di fama a buon prezzo non si esclude che presto altri nomi saliranno alle cronache per la stessa offerta. Il senatore Umberto Bossi, ministro in carica della Repubblica, ha a sua volta rispolverato il progetto di indipendenza della cosiddetta Padania, ventilando il ricorso a un referendum tra le popolazioni del Nord, stanche di essere dissanguate, a suo dire, dalle regioni del Meridione d’Italia. E questo alla faccia di Giuseppe Garibaldi nel 150 esimo anniversario dell’Unità del Paese. “La Monarchia ci unisce, la Repubblica ci dividerebbe” fu la frase profetica che accomunò al trono Sabaudo nel Risorgimento alcuni politici di buon senso, ma di questo non vollero tener presente coloro che nel 1946 si batterono ideologicamente per sbarazzarsi dei Savoia che avevano cementato la nuova Nazione. Adesso i nodi vengono al pettine: una crisi seria minaccia il Paese, l’economia è sotto un quotidiano esame, e quindi riprendono fiato pirotecniche teorie di suddivisione di zone ricche e trainanti e zone povere sfruttatrici e di cui è opportuno sbarazzarsi. L’amore della Patria, il sacrificio dei Martiri, la lingua l’arte e la letteratura comune dal Piemonte alle Isole tutto ciarpame superfluo e improduttivo di cui non tenere conto: sono stati messi nel Museo della Storia la Corona e il Trono, simboli dell’Unità, mettiamo al Museo anche l’Unità stessa! Questi sono i programmi politici di alcuni cittadini nell’anno 2011.

martedì 6 settembre 2011

Toponomastica Milanese

Milano ha dedicato diverse delle sue strade a personaggi storici che sono stati protagonisti delle sue vicende, dato però che i cognomi sono sovente i medesimi è stato necessario differenziare i nominativi con soprannomi anche pittoreschi: Prendiamo per esempio viale Caterina da Forlì che dovrebbe chiamarsi, per rispettare l’anagrafe, Caterina Sforza, si è preferito citare la città di Forlì perché c’è già una strada dedicata a Francesco Sforza, evitando così confusioni nella ricerca delle varie ubicazioni.  Forlì, assieme a Imola, costituiva il feudo dotale di Caterina quando andò sposa a Girolamo Riario, nipote del Papa Sisto IV. Si è trattato di una donna dal carattere forte e di grande temperamento, figlia naturale del duca di Milano Galeazzo Maria Sforza e della sua amante Lucrezia Landriani: nacquero diversi figli dalle nozze col Riario e i suoi discendenti, tuttora esistenti sono i Duchi Riario-Sforza. Dopo l’uccisione del marito ebbe una bollente love-story con Giacomo de Feo, con cui contrasse un secondo matrimonio ma che fu anch’egli ammazzato: terze nozze con Giovanni de’Medici e nascita del figlio anche lui Giovanni, noto alla storia come Giovanni dalle Bande Nere, celebre condottiero dalle insegne a strisce nere (…simili all’emblema della Juventus?). Milano ha dedicato una piazza a  Giovanni dalle Bande Nere, il cui figlio, nato da Maria Salviati, fu Cosimo I, primo Granduca di Toscana della Casa Medici, dopo che i suoi antenati (come Lorenzo il magnifico) erano stati solo Signori di Firenze. Da Cosimo I e dalla sua bellissima prima moglie Eleonora Alvarez de Toledo ( la cui madre era una de Fonseca Pimentel, altro casato presente nella toponomastica milanese, per via della dominazione spagnola dell’epoca) discendono i Borbone di Francia (nozze di Maria de’Medici con Enrico IV) ,e dalla seconda sposa di Cosimo I, Camilla Martelli, tramite la figlia Virginia, derivano gli Estensi di Modena e Reggio che, legati genealogicamente ai Farnese di Parma sono gli antenati dei Borbone di Spagna (nozze di Elisabetta Farnese col Re di Spagna Filippo V) fino all’attuale Re di Spagna Juan Carlos…Ebbene si, il popolarissimo sovrano spagnolo è nato, come molti sanno, a Roma ma ha diversi antenati Milanesi, titolari, come abbiamo visto di alcune strade della città ambrosiana. Un’altra bella arteria di Milano è stata dedicata a Bianca Maria, l’ultima dei Visconti, figlia del Duca Filippo Maria e della sua amante Agnese del Maino, e sposa di Francesco Sforza, genitori a loro volta del sopra citato Galeazzo Maria Sforza.  Viale Gian Galeazzo ricorda poi quello che forse è il più illustre dei Visconti, il primo Duca del Casato durante il cui dominio fu edificato il duomo di Milano, uno dei più ammirati Templi cristiani esistenti al mondo. Concludiamo questa carrellata per le strade milanesi con Lodovico il Moro, anche lui intestatario di una via: era anche lui figlio di Francesco Sforza e di Bianca Maria Visconti e visse in un periodo molto difficile cui cercò di far fronte anche con metodi discutibili, ma fu costretto a soccombere a francesi e spagnoli più forti di lui. Con il debole governo di suoi due figli cessò il potere degli Sforza a Milano e iniziò pure il vassallaggio dell’Italia agli stranieri. Ricordiamo infine il bel viale Beatrice d’Este, dedicato alla moglie del suddetto Lodovico il Moro.

Il borsello

Non ho mai posseduto un borsello nemmeno quando la moda imperante imponeva a ogni uomo, non dico elegante, ma correttamente vestito, di completare il suo abbigliamento con quell’oggetto. L’avevo sempre ritenuto superfluo per le poche cose di mia necessità, considerando che le tasche sia della giacca che per almeno dieci mesi all’anno sono solito indossare, sia dei pantaloni erano sufficienti appunto per le mie esigenze. Inoltre devo essere sincero mi infastidiva il fatto che “la borsetta” era un aggeggio troppo esplicitamente femminile, e quindi di andare in giro con tale accessorio tra le mani, mi avrebbe certamente imbarazzato. Bene, ho dovuto ricredermi. Oltre al fatto che recentemente il borsello ha avuto un rilancio nella moda maschile con modelli sportivi da portare con fascia a tracolla, e tenuto presente che il cosiddetto “marsupio” in giro vita mi piaceva ancora meno per il fastidio di tale rigonfiamento sotto lo stomaco, quindi ho ceduto e mi sono munito anche io di un borsello. Ma il motivo determinante è stato il furto che ho subìto del portafogli che mi è stato abilmente asportato dalla tasca posteriore dei pantaloni e da cui una parte sporgeva leggermente offrendosi alla vista del manigoldo, per il fatto che la temperatura africana dell’agosto 2011 mi ha indotto a circolare senza la giacca. Mi sono munito di un borsello di media dimensione, piuttosto piatto, di colore nero e con tracolla pure nera, decisamente sportivo  e che mi consente di esibirlo con disinvoltura. Dicono che non tutto il male viene per nuocere, nel mio caso per consolarmi del danno subito, mi dico che quel che mi è capitato mi ha fatto superare il complesso del borsello, adeguandomi alla maggioranza degli altri uomini che già lo portavano. Comunque la prossima volta, per rubarmi il portafogli, dovranno rubarmi anche il borsello.

Furto con destrezza

Mercoledì 24 agosto 2011 ore 17 la temperatura sfiora i 35 gradi; il sottoscritto sale i gradini che portano in viale Monza a Milano della stazione della Metropolitana linea 1 fermata Rovereto, lato destro del viale dando la schiena alla periferia. Un uomo gli scende incontro e gli dice: “Guardi che le hanno rubato il portafogli”. Dice di aver visto tutto dall’alto affacciato alla balaustra. Il sottoscritto controlla la tasca posteriore destra dei pantaloni e constata che è vuota: uno sguardo verso il suolo e il portafogli è lì per terra semi-aperto, svuotato del contante ma con tutti i documenti . Il sottoscritto non si era minimamente accorto di essere stato sfiorato da qualcuno dalla mano lesta, ma la pronta segnalazione del cittadino di cui sopra ha per lo meno consentito di recuperare tutti i documenti e carte varie la cui perdita avrebbe complicato ulteriormente la faccenda. A memoria del sottoscritto il denaro mancante dovrebbe aggirarsi su due pezzi da 50 euro e un pezzo da 20. I ladri, forse due si sono dileguati in un baleno, il sottoscritto leggermente frastornato segnala il fatto ai due addetti A.T.M. presenti nella cabina del piano ammezzato, i quali fanno presente che non è un problema che li concerne, ma che bisogna presentare denuncia all’autorità giudiziaria, cosa che il sottoscritto prontamente esegue, non certo sperando di recuperare il malloppo, ma allo scopo di invitare le forze dell’ordine a un controllo sempre più assiduo con agenti personalmente presenti specie nelle due fermate di Pasteur e di Rovereto dove accadono più di frequente scippi e furti vari. La denuncia è stata regolarmente presentata. In parallelo al sottoscritto torna in mente un episodio diverso ma ugualmente significativo di rapporti tra cittadini di una grande metropoli: qualche giorno prima il sottoscritto esce dal supermercato Esselunga di viale Piave dove ha eseguito alcuni acquisti di generi alimentari. Fuori dal suddetto emporio bivaccano diversi mendicanti in gruppetti vari che salutano i clienti di passaggio. Il sottoscritto risponde con un cenno di ringraziamento al “buongiorno” del mendicante accucciato a destra e non dà alcuna moneta. Un altro questuante in piedi sulla sinistra del sottoscritto nota il marchio della camicia del sottoscritto e dice ad alta voce: “Lacoste”, non so se per  dire: guarda questo fetente che non molla niente, o per altri scopi. Il sottoscritto tira dritto. Niente tutto qui. Però diventa sempre più difficile barcamenarsi in questo mondo complesso. La direzione del supermercato sopracitato prontamente avvertita telefonicamente dell’episodio fa presente giustamente che la questione concerne l’ordine pubblico e che loro non hanno alcun potere di cacciare i mendicanti.

Il matrimonio del Principe Alberto II di Monaco

Questo avvenimento celebrato il 2 luglio ha suscitato vasto interesse in tutto il mondo: l’opinione pubblica mondiale disgustata da un’infinità di notizie deprimenti ha apprezzato questa favola moderna della bella campionessa di nuoto proveniente dal sud Africa ma di origini europee che ha fatto innamorare il Sovrano del piccolo ma importante Stato della Costa Azzurra. Erano presenti alla cerimonia molti Capi di Stato e altri Personaggi legati alla Famiglia regnante dei Grimaldi di Monaco e noi Italiani abbiamo notato con piacere tra gli invitati il Principe Vittorio Emanuele di Savoia con la consorte Principessa Marina e il loro figlio ed erede il Principe Emanuele Filiberto anche lui affiancato dalla moglie la Principessa Clotilde. Molto apprezzata anche la presenza di entrambi i Capitani Reggenti della Repubblica di San Marino, così come quella del Duca e della Duchessa di Castro, Carlo e Camilla di Borbone della Casa Reale delle Due Sicilie, amici dello sposo. Molto commentata l’assenza di membri dei Reali di Spagna se si considera che Alberto II  ebbe come madrina al fonte battesimale la Regina di Spagna Vittoria Eugenia, altra assenza rimarcata quella dei Savoia-Aosta parenti del Sovrano Monegasco per la comune discendenza dai Principi belgi della famiglia de Merode. Infatti nell’800 la contessa Antonietta figlia del Conte Werner de Merode sposò il Principe Carlo III di Monaco da cui nacque Alberto I, mentre Luisa Carolina, sorella di Antonietta, sposò il Principe Carlo Emanuele dal Pozzo della Cisterna che furono i genitori di Maria Vittoria la moglie dei primo duca d’Aosta  e che con lui cinse per un breve periodo la corona di Spagna. Da queste due predette sorelle de Merode discendono quindi sia i Principi di Monaco che gli attuali Savoia-Aosta. Tornando a Alberto I, uno dei più famosi e illustri sovrani che abbia avuto il Principato, ricordiamo che ebbe come prima moglie una Lady inglese, Mary Douglas Hamilton, figlia di W illiam, 11° Duca di Hamilton  e della principessa Maria del Baden, da cui nacque colui che poi fu il Principe Luigi II. La suddetta Maria del Baden era sorella di Giuseppina del Baden figlie del Granduca di quello Stato della Germania e di Stefania de Beauharnais, parente acquisita della prima moglie di Napoleone I. Giuseppina del Baden aveva sposato il Principe Carlo Antonio di Hohenzollern-Sigmaringen (figlio a sua volta di una Murat) e da loro discendono i Reali di Romania oltre ai Reali del Belgio (tramite Maria di Hohenzollern, madre di Re Alberto I del Belgio) e con la Regina Maria Josè i nostri attuali Principi di Savoia, nonché i Granduchi di Lussemburgo. Ecco, sommariamente spiegata la parentela tra i Grimaldi e alcuni dei loro ospiti alle attuali nozze, senza dimenticare i Sovrani nordici di Svezia, Norvegia e Danimarca discendenti dai Bernadotte ma anche dai Beauharnais. Concludiamo questa carrellata genealogica con il divorzio di Alberto I da Mary Douglas Hamilton la quale si risposò col Principe ungherese Tassilo Festetics de Tolna da cui nacque Maria Festetics de Tolna sposa al Principe Emil von Furstenberg genitori a loro volta del Principe Tassilo, primo marito della vivente Clara Agnelli, sorella maggiore dell’Avvocato, e la cui figlia la famosa Principessa Ira von Furstenberg era pure lei presente a Monaco il 2 luglio scorso. Luigi II Principe di Monaco ebbe una love- story a Constantine nel Marocco con la molto bella Juliette Louvet che svolgeva la rispettabilissima professione di lavandaia e dal loro amore nacque Charlotte che, legalizzata dal padre fu la sua Erede e madre del defunto Principe Ranieri III nato dalle nozze col Conte Pierre de Polignac. Fin troppo noto per essere ancora ricordato il romanzo di Ranieri III e di Grace Kelly, genitori di Albertto II. Curiosamente l’attuale Sovrano Monegasco ha scelto Charlène una ragazza del Sud-Africa e di origini germaniche mentre sua nonna Charlotte era una Nord-Africana di famiglia Francese.

L’Erede del Kaiser

 In lingua italiana la parola tedesca Kaiser significa Imperatore, e la storia c’insegna che di imperatori germanici ce ne sono stati parecchi, ma in Italia quando si cita questo termine si intende parlare di Guglielmo II l’ultimo sovrano dell’impero di Germania, nostro storico nemico nella prima guerra mondiale, e da noi e dai nostri alleati sconfitto nel 1918, deposto dai suoi sudditi e mandato in esilio. La stampa italiana dell’epoca, specialmente durante il conflitto, fu particolarmente aspra nei confronti di questo sovrano, ironizzando sulla sua personalità di inguaribile gaffeur o di pallone gonfiato presuntuoso e sprezzante. In realtà pare che sia stato un buon politico e un buon padre di famiglia, tormentato da un handicap al braccio sinistro, fattore questo che incise sul suo carattere, come capita sovente a persone colpite da difetti fisici. Il suo esilio si protrasse sino al 1941, anno della sua morte, il che gli consentì di vedere dove Hitler stava portando la Nazione che precedentemente era la sua. Apparteneva alla Casata degli Hohenzollern che dapprima regnante solo sulla Prussia, dal 1870, grazie al genio politico di Bismark, estese il potere sull’intera Germania, lasciando però, con una formula unica al mondo, al comando dei singoli stati minori (per citarne alcuni: il regno di Sassonia, il regno di Baviera i granducati di Baden e di Oldenburg e una ventina di altri)  i precedenti sovrani. Con la sconfitta del 1918 questo mondo è scomparso ma sono sopravvissuti i titolari di sovranità rimbombanti e dopo quasi cento anni i pretendenti a quei troni sono i pronipoti degli antichi sovrani. Dopo quattro generazioni anche il discendente del Kaiser non manca di sostenere i propri diritti se non alla corona imperiale almeno a quella reale di Prussia. Si tratta di un simpatico giovane di trentacinque anni di nome Giorgio Federico di Hohenzollern orfano di padre dalla più tenera infanzia e con un’unica sorella minore handicappata fisica e mentale, e che ha scavalcato nella successione dinastica alcuni zii colpevoli di matrimoni inadeguati mentre lui ha le carte in regole anche da parte di madre che nasce, benché solo Contessa, nella casata dei Principi di Castell-Rudenhausen. È stato giocoforza quindi per lui sposarsi non con una semplice commoner (borghese in inglese) ma con una esponente dell’Almanacco di Gotha. La cerimonia quasi fiabesca si è tenuta  nel castello di Sans-Souci a Postdam, località tanto legata alla storia di famiglia, in questo 27 agosto a poche settimane quindi da altre nozze principesche a conclusione di diverse love-story coronate. La sposa Sofia di Isenburg, una bella ragazza dai lineamenti irregolari ma dal fisico imponente, appartiene a una casata se non regale però imparentatissima con diversi sovrani d’Europa e che tuttora mantiene vive le antiche tradizioni: basti pensare che i due cognati di Sofia, mariti delle sue due sorelle maggiori, sono l’uno il Principe Carlo di Wied e l’altro l’Arciduca Martino d’Austria-Este, quest’ultimo figlio di Margherita di Savoia-Aosta la figlia maggiore dell’Eroe dell’Amba Alagi. Ricordiamo poi tra gli antenati della sposa il Granduca di Toscana Leopoldo II, zio materno del nostro grande Re Vittorio Emanuele II. L’unica dissonanza in queste nozze è la diversità di religione tra i due sposi, lui è protestante e lei è cattolica, ma in questi tempi di conclamato ecumenismo è quasi un esempio di grande apertura. Moltissimi gli invitati al castello di Sans-Souci, tra cui oltre ai citati cognati abbiamo notato con piacere l’85enne Principe Landgravio Maurizio d’Assia, il figlio maggiore della nostra compianta Principessa Mafalda di Savoia. Maurizio è apparso in ottima forma. Non resta che gridare “viva gli sposi” e augurare loro una vita serena con tanti piccoli Principini per la continuità della prima (almeno dal punto di vista storico) famiglia tedesca.

mercoledì 27 luglio 2011

Antichi ricordi

.
Un noto filosofo italiano ha dichiarato e scritto in un suo saggio che il più antico ricordo che affiora nella sua mente, è la sua immagine di bambino di quattro anni che si rifugia sotto il tavolo della sala da pranzo nella casa dove viveva con i suoi genitori. Il tavolo rappresenta un riparo dai pericoli che possono minacciare la sua breve esistenza, in cima dei quali sta la eventualità più terribile, cioè la morte. Senza raggiungere atmosfere così drammatiche il ricordo più lontano che credo di conservare nel mio animo, è che mi trovo su un treno proveniente dall’Emilia e diretto a Milano. Sono assieme ai miei famigliari e ci accingiamo a togliere le valigie dalle apposite reticelle dove le avevamo inserite alla partenza: ormai siamo quasi arrivati e dobbiamo prepararci a scendere, il finestrino è chiuso e io bambino di sei/sette anni guardo fuori e dalle decine o centinaia di binari quasi intrecciati, mi appaiono sulla sinistra dove ci stiamo per inserire le volte immense e cupe delle tettoie delle gallerie. Sono tre o quattro una gigantesca al centro e le altre leggermente inferiori per ampiezza si trovano sul lato destro, l’unico che mi è consentito di vedere. Il treno sta rallentando la velocità e quelle orrende volte, come bocche spalancate, stanno per inghiottirci. Ecco realizzarsi un incubo, la fine della spensieratezza delle vacanze in Emilia la terra delle burle e dei giochi verso Milano il luogo dove tutto è proibito e dove si concretizzano tutti i doveri, principalmente quelli scolastici. Quelle bocche nere che per qualcuno sono un modello di architettura ferroviaria per me sono il mostro che sta per cancellare con la sua voracità un periodo felice. Ci vorranno anni perché la mia opinione si modifichi, perché Milano la mia città che oggi adoro cambi l’aspetto ostile e severo ai miei occhi di bimbo e diventi l’unico posto dove mi fa piacere di vivere. Ma questo è un altro discorso.

Parentele Regali

.
Il Re Giorgio V d’Inghilterra, nonno paterno dell’attuale Sovrana Elisabetta II era cugino di primo grado dell’ultimo zar di Russia Nicola II in quanto erano figli di due sorelle (Alessandra e Dagmar principesse di Danimarca, quest’ultima più nota come Maria Feodorowna) e la somiglianza fisica tra i due sovrani era notevole tanto che parevano fratelli. Giorgio V poi era anche cugino sempre di primo grado della zarina Alessandra Feodorowna nata principessa Alice d’Assia-Darmstadt, moglie del suddetto Nicola II, per il fatto che la madre di questa zarina era la principessa Alice di Gran Bretagna figlia della Regina Vittoria e sorella del Re Edoardo VII, padre di Giorgio V; questa principessa inglese aveva sposato il Granduca Luigi IV d’Assia-Darmstadt, uno dei numerosi stati che componevano l’Impero di Germania. Tra la numerosa figliolanza di questa ultima coppia citiamo la primogenita Vittoria maritata con il Principe Luigi di Battenberg, un giovane appartenente a una famiglia diciamo così “morganatica” in quanto creata dalle nozze di un cadetto degli Assia-Darmstadt con una “semplice” contessa. Luigi di Battemberg quindi non era vincolato a una Nazione precisa e quindi fu preso sotto l’ala protettrice della potentissima Sovrana inglese che tra l’altro diede in moglie la sua figlia più  giovane di nome Beatrice a Enrico di Battenberg, fratello cadetto di Luigi.Questi due componenti della famiglia Battenberg assunsero quindi la cittadinanza britannica e sia Luigi che i discendenti di Enrico, morto nel frattempo, nel 1917 mutarono il nome in Mountbatten per cancellare l’origine tedesca, dato che l’Inghilterra era in guerra con la Germania: la medesima iniziativa fece a maggior ragione la famiglia regnante che assunse il cognome Windsor in luogo di quello di Hannover-Sassonia Coburgo Gotha. Luigi di Battenberg esperto uomo di mare ricoprì anche la prestigiosa carica di Primo Lord dell’Ammiragliato britannico. Il suo titolo nobiliare fu di Marchese di Milford Haven. La sua figlia primogenita di nome Alice aveva sposato appena diciottenne nel 1903 il ventunenne principe Andrea di Grecia cadetto di quella Casa regnante ad Atene da cui nacque, oltre a quattro sorelle, il Principe Filippo, che vide la luce nel 1921 nell’isola di Corfù. Quando nell’immediato secondo dopoguerra si trattò di trovare uno sposo per la principessa Elisabetta erede al trono inglese si riscontrarono in Filippo di Grecia tutti i requisiti idonei per farne un ideale Principe Consorte, e per accentuarne l’ascendenza britannica fu autorizzato a cambiare il cognome in Mountbatten , praticamente quello di sua madre, la quale, ormai vedova partecipò alle nozze del figlio assieme alla ormai anziana madre Vittoria marchesa di Milford Haven .Le sorelle di Filippo che avevano sposato Principi tedeschi non furono invitate. Si era nel 1947 e la guerra con la Germania era terminata da poco per cui fu ritenuto opportuno questo comportamento, anche perché i cognati di Filippo non avevano contrastato il nazismo. Il 10 giugno Filippo, che notoriamente non ostenta la qualifica di principe consorte ma porta il titolo di Duca di Edimburgo compirà la bella età di 90 anni può vantarsi di aver ricoperto il suo ruolo con abilità e simpatia. Questo a riprova che la scelta degli inglesi e specialmente della Regina, è stata felice.

….baùscia….

.
Chi ha una certa età ed è nato o ha vissuto da diversi anni a Milano conosce questa parola che sino a non molto tempo fa era usuale nel gergo della grande città lombarda. Oggi non la si sente quasi più, forse a causa o per merito della televisione che ha insegnato a tutti a parlare in italiano eliminando certi termini dialettali, come appunto “baùscia” che veniva comunque inserito nel discorso anche se si parlava appunto in lingua e non in dialetto. Eppure questa breve parola concentrava nelle sue poche lettere un concetto chiarissimo che per coloro che milanesi non sono spiegheremo brevemente. “Quel lì l’è propi un bauscia” oppure: “Te se propi un gran bauscia” (Quello li è proprio un bauscia oppure: Sei proprio un gran bauscia)  Dove il termine in questione sta, per chi non lo avesse ancora capito, per sbruffone, o più letteralmente per uno che perde la bava tanto si sbrodola nel darsi delle arie. Uno che sa tutto anche se non sa niente, uno che ha la soluzione per ogni problema. E pensare che, come abbiamo appena detto, anche se il termine è stato quasi completamente eliminato, al contrario la categoria dei bauscia (con l’accento sull’u detto alla francese o alla milanese) non è affatto estinta anzi è più fiorente che mai e basta accendere il tasto della televisione per constatarne la presenza incombente. Senza fare elenchi di nomi uno dei più idonei a questo in fin dei conti bonario epiteto è quel politico il cui maggior vanto era il suo “celodurismo”. Ma non è il solo, ce ne sono altri che, magari con maggior classe  ma con sorrisi sarcastici cercano di demolire gli avversari con frasi sprezzanti o battute perfide, come  colui che ha definito il ministro Brunetta: “un gigante della politica” o la onorevole Rosy Bindi “più bella che intelligente”. Ma queste più che bausciate (termine derivante dal precedente) sono boutades…..

Qualche passo avanti…

.
Ormai da circa 65 anni le parole “viva l’Italia” o l’inno di Mameli eravamo ridotti a sentirli solo durante le partite di calcio ma ora anche il Festival di San Remo ha capito che per fare  audience questi argomenti possono servire e allora ha coinvolto Roberto Benigni che, nobilitato da un Premio Oscar, ha assunto agli occhi dei fruitori di schermi e teleschermi una figura carismatica adatta al compito di ricordare agli Italiani che non è un peccato essere orgogliosi della nostra identità e che forse le nostre virtù sono maggiori dei nostri difetti. Quindi stiamo facendo qualche passo avanti rispetto all’orgia di auto-denigrazione che ci ha accompagnato specie nel settore cinematografico per alcuni decenni. In questa ottica va vista anche la (sembra definitiva) decisione governativa di dichiarare festiva la data del 17  marzo 2011 - relativa ai 150 anni dell’Unità d’Italia. Come ha già detto qualche altra voce autorevole il 17 marzo 1861 non fu proclamata ufficialmente l’unità del nostro Paese ma fu sancita la nascita del Regno d’Italia sotto la sovranità costituzionale della Casa di Savoia, un patto tra gli Italiani, che si erano battuti nelle guerre del Risorgimento e che poi avevano ribadito con i Plebisciti, e la Dinastia che aveva realizzato l’anelito unitario. Poi dato che la Storia è un divenire di eventi una limitata maggioranza di cittadini, il 2 giugno 1946,  decise che la Monarchia era una sovrastruttura superflua e preferì la forma repubblicana. Eppure nella consultazione per il referendum istituzionale ben 10.719.284 di Italiani si confermarono monarchici (e non si attese neppure il ritorno in Patria di migliaia di nostri concittadini ancora ex prigionieri di guerra) quindi ancora legati a quel patto inscindibile di fedeltà e di riconoscenza verso i Sovrani Sabaudi che avevano messo in gioco tutto ciò che possedevano per l’unione di tutti gli Italiani. Ebbene, certo sappiamo che il referendum non è una semplice consultazione elettorale che si replica ogni sei anni, di questi milioni di Italiani (ormai quasi tutti morti) non si parla mai, eppure non protestarono e operarono lealmente per la ricostruzione del Paese. Allora in questo Centocinquantesimo anniversario, che avrà un altro suo “clou” anche il 2 giugno con la presenza a Roma di molti Capi di Stato, non sarebbe il caso di onorare la memoria degli sconfitti del 1946, il Re Umberto II per primo, che non provocarono sommosse ma operarono per la pacificazione? Basterebbero poche parole ma concrete, o addirittura la sepoltura al Pantheon degli ultimi due Sovrani e delle loro Consorti; 10 milioni e 7 centomila Italiani ne avrebbero diritto e sarebbero ulteriori e positivi passi avanti per l’Unità, per la Storia e infine per l’Italia!

Svolta a sinistra

.
Nelle due recentissime consultazioni elettorali, Amministrative per alcuni comuni anche importanti come Milano e Referendum su questioni vitali, gli esiti hanno denotato una decisa sterzata a sinistra dell’elettorato italiano, come hanno dovuto riconoscere a bocca storta anche i politici del centro-destra. Per quanto concerne i Referendum un errore colossale è stato commesso dal Premier che alla vigilia della consultazione ha dichiarato che non sarebbe andato a votare. Avrebbe invece dovuto dire, secondo la logica: “Andrò a votare e voterò no”. Il fatto che molti dei suoi supporters abbiano seguito il suo esempio, cioè abbiano disertato le urne, ha fatto apparire travolgente la vittoria dei sì dei suoi avversari. Altro sbaglio commesso dal Premier qualche settimana prima delle suddette votazioni è stata una categorica ed enfatica esternazione durante un incontro con un numeroso gruppo di esponenti di un movimento cattolico: senza che nessuno gli avesse fatto esplicita richiesta in merito, aveva dichiarato: “Fin che io sarò a capo di questo governo non approverò nessun matrimonio tra persone dello stesso sesso né adozioni di bambini da parte di singoli o di coppie omosessuali”. Dichiarazioni che per qualcuno potranno essere giudicate sacrosante ma inopportune e controproducenti a giudizio di potenziali elettori non dico intenzionati a convolare a nozze con un individuo del suo stesso sesso o in vena di adozioni innaturali, ma semplicemente giudicate anti-gay da parte di un vastissimo elettorato omosessuale o semplicemente simpatizzante. Cioè in parole povere quando un Politico si esprime in un comizio non deve dire: non farò questo né farò quello…” ma deve dire quello che intende fare, possibilmente di natura positiva… L’eterno braccio di ferro tra il Premier e i Giudici poi ha indotto molti benpensanti ad allontanarsi dalle posizioni cui avevano aderito mandandolo a Palazzo Chigi alle ultime politiche, a cui si sono aggiunti i particolari delle notti di Arcore e qui ci sono da sottolineare gli insulti delle donne per le frequentatrici di quei convegni e l’invidia degli uomini meno fortunati. Ecco quindi alcuni motivi della “Svolta a sinistra” svolta solo di tendenza perché teoricamente non dovrebbe avere conseguenze politiche.  Ma che costituisce un formidabile campanello d’allarme per chi si era addormentato sugli allori o un impulso come dire: “Svegliatevi” per chi vorrebbe subentrare all’attuale manovratore nella stanza dei bottoni.

lunedì 2 maggio 2011

Bufale veniali e lapsus inaccettabili

Siamo nella chiesa di san Babila a Milano giovedì 17 marzo 2011, giorno dedicato all’Unità d’Italia, in cui i monarchici hanno deciso di celebrare una santa Messa in suffragio dei quattro Sovrani di Casa Savoia che hanno retto la Nazione dal 1861 al 1946. Nonostante la pioggia la città è in fermento per la felice ricorrenza e la chiesa è affollata sia di cittadini fedeli all’ideale Sabaudo che di Cavalieri di alcuni Ordini Cavallereschi e di Guardie d’Onore delle Tombe Reali. All’inizio della funzione il sacerdote legge un caloroso messaggio, graditissimo, di S.A.R. il Principe Vittorio Emanuele, che si dichiara vicino a tutti i partecipanti, poi il medesimo sacerdote elenca i nomi dei Re d’Italia che si vogliono onorare: Carlo Alberto, Vittorio Emanuele II, Umberto I e Vittorio Emanuele III: ovviamente male informato include Carlo Alberto che non fu mai Re d’Italia e tralascia Umberto II. Naturalmente è stato bello ricordare anche Carlo Alberto, ma non citare Umberto II, l’ultimo amatissimo Sovrano contemporaneo pur nell’esilio di molti dei presenti è stato un errore. A proposito di bufale, questa volta televisive, durante la telecronaca su RAI 1 delle cerimonie romane per i 150 anni dell’Unità del Paese, alcuni docenti Universitari commentano le varie tappe del Presidente Napoletano e viene ricordato quanto era frammentato il nostro Paese nel 1861 prima dell’Unità citando fra gli Stati pre-unitari il Ducato di Lucca ignorando che questa piccola entità statale non esisteva più dal 1847 con la morte di Maria Luisa d’Austria, decesso che aveva consentito ai Borbone di rientrare nel ducato di Parma momentaneamente retto vita natural durante dalla moglie di Napoleone, mentre Lucca dove erano provvisoriamente parcheggiati i Borbone, secondo i trattati del Congresso di Vienna, tornò a riunirsi al Granducato di Toscana. Altro lapsus televisivo: viene ricordato che nel 1911 in occasione del 50 anniversario, il Re Vittorio Emanuele II accompagnato dalla Regina Elena partecipò alle cerimonie: ovviamente si trattava di Vittorio Emanuele III. Infine viene ricordato che anche la Germania nel 1870 si unificò in un unico Impero sotto la Casa di Hohenzollern e il neo-Kaiser si chiamò Guglielmo I, mentre in Italia  il nuovo Re volle mantenere la numerazione di quando era Re di Sardegna. Ma, diciamo noi, Guglielmo I portava tale numero anche quando era Re di Prussia, non essendoci stati altri Sovrani di questo nome, quindi nel suo caso non ci fu un problema di scelta ma di logica: pertanto un paragone fuori luogo.

Antonino Salemme - un caduto nella Seconda guerra mondiale

Nel numero 37 del 1942 del settimanale illustrato per ragazzi Intrepido viene ricordato con fervide parole della direttrice la nota scrittrice Wanda Bontà il sacrificio di Antonino Salemme caduto per la Patria. Secondo le precise regole del famigerato MinCulPop  (il Ministero della Cultura Popolare voluto da Mussolini) tutti i giornali periodici oltre ai normali programmi dovevano contenere almeno una pagina dedicata alle eroiche azioni dei combattenti italiani impegnati nella guerra in corso. Però le parole dedicate dalla direttrice a Salemme erano spontanee se non doverose e non di certo di circostanza. Antonino Salemme era tenente colonnello e contrariamente a quanto sembrava in un primo tempo cadde a Tobruk e non a El Alamein, entrambe località del continente Africano dove dapprima il sudore dei lavoratori italiani poi il sangue dei nostri eroi hanno lasciato una traccia incancellabile. Tobruk poi è in questi mesi un nome di grande attualità per le vicende libiche che si rincorrono nei notiziari. Salemme  che era nato a Gaeta nel 1893, era un abilissimo disegnatore-illustratore la cui arte era particolarmente adatta alla nascente editoria per la fascia di età dai 7 ai 18 anni e anche oltre, in fase di sviluppo negli anni ’30 dello scorso secolo. Alcuni editori come Nerbini o Mondadori avevano varato delle pubblicazioni come “L’Avventuroso” o “Topolino” di immediato impatto sui lettori: non esisteva la TV e quelle storie immaginifiche importate dall’America avevano incantato i ragazzi Italiani. I giovani fratelli Domenico e Alceo Del Duca vararono dal 1935 al 1937 pubblicazioni analoghe come  Monello o Intrepido scarse di storie di importazione ma ricche di vicende create da artisti italiani (dove persino un grande come Walter Molino si fece le ossa). Fu proprio nell’Editoriale Universo dei fratelli Del Duca che si inserì alla grande Antonino Salemme. I testi delle storie erano principalmente fatte in casa da Treddi, lo pseudonimo di Domenico Del Duca, coadiuvato dalla suddetta Wanda Bontà e dall’altra Maga di romanzi sentimentali-burrascosi che fu Luciana Peverelli, i cui contenuti romantici non escludevano le giovani lettrici che ne furono veramente conquistate. Il tratto di Salemme poi era dolce e fluente e quindi adatto a queste impostazioni. Fu un notevole successo e gli Editori poterono dichiarare che Intrepido era il più diffuso settimanale del settore. Secondo alcuni commentatori del dopoguerra sembra che Salemme fosse di religione ebraica ma i Del Duca, notoriamente liberi  e democratici consentirono all’artista di continuare il suo lavoro sino all’autunno del 1941 quando per le vicende belliche Salemme fu richiamato al fronte e dove diede la vita. Alla sua memoria fu conferita una medaglia di bronzo che i suoi eredi, con un gesto brillante, hanno legato al Museo Storico di Bergamo, assieme ad altri cimeli del pittore. Ci sono ancora alcuni anziani che conservano gelosamente le raccolte dei giornalini illustrati anche da Salemme e ogni tanto le sfogliano come si fa per le cose più care e ricche di ormai lontanissimi ricordi…

La tenacia dei Savoia-Carignano

Con la morte del Re Carlo Felice, nel 1831, terminò la lunga anticamera dei Principi di Carignano in attesa del trono di Sardegna. Questo ramo cadetto di Casa Savoia aveva affiancato lealmente per circa duecento anni, dapprima i vari Duchi sovrani poi i Re, offrendo il sostegno morale e il braccio quando ce ne fu la necessità, per superare e risolvere i problemi che via via si presentavano. Ma facciamo un passo indietro per mettere in risalto il prestigio genealogico di questa Casata che anche a giudicare dalle principesse straniere che vi entrarono da spose, godeva della stima e della fiducia di diversi Sovrani europei. Intorno al 1520 il Duca Carlo III aveva preso in moglie l’infanta Beatrice del Portogallo, figlia del Re di quel paese Emanuele I il quale era già suocero dell’Imperatore Carlo V: Carlo III di Savoia si ritrovò quindi imparentato con i più potenti sovrani dell’epoca. Il figlio di Carlo III e di Beatrice fu nient’altro che il grande Emanuele Filiberto che riportò il Ducato all’antica posizione di prestigio anche attraverso le sue nozze con Margherita di Francia la figlia del Re di quella Nazione il famoso Francesco I. A sua volta il loro figlio Carlo Emanuele I sposò Caterina Micaela d’Asburgo, infanta di Spagna nata dalle celebratissime nozze tra il Re Cattolico di Spagna Filippo II e Elisabetta di Valois, colei che avrebbe dovuto sposare il figlio e dovette unirsi al padre contemplandone “triste in volto il crin bianco” come ci ricorda Giuseppe Verdi nell’opera Don Carlo. Nell’abbondante figliolanza di Carlo Emanuele I  e Caterina Micaela ricordiamo l’erede Vittorio Amedeo I che nella grande tradizione famigliare scelse come moglie la principessa Cristina di Borbone di Francia, figlia del Re Enrico IV. e il cadetto Tomaso Principe di Carignano, stipite di questo ramo cui abbiamo fatto cenno all’inizio di questo articolo. Da Tommaso attraverso cinque generazioni si giunge a Carlo Alberto a cui spettò il trono di Sardigna per legittima successione ereditaria. Tenuto conto che la giovinezza di Carlo Alberto si svolse nell’epoca della Restaurazione post-Napoleonica, fu scelta logica che la sua sposa fosse gradita a Vienna dove il Cancelliere Metternich faceva il bello e il cattivo tempo. Questa giovane moglie aveva poi dalla sua parte il dono di un bell’aspetto e di un carattere dolcissimo, tale è descritta Maria Teresa la figlia di Ferdinando III d’Asburgo Lorena Granduca di Toscana  e di Luisa dei Borbone di Napoli. In parallelo l’unica sorella di Carlo Alberto la Principessa Elisabetta di Savia Carignano giungeva a Vienna come moglie amatissima dell’Arciduca Ranieri, fratello cadetto dell’Imperatore Francesco II (poi I come Imperatore d’Austria), e da queste nozze nasceva a Milano, dove Ranieri svolgeva le funzioni di Vice-re del Lombardo Veneto, l’Arciduchessa Maria Adelaide che avrebbe poi sposato il  cugino Vittorio Emanuele II, sempre nella scia delle unioni di alto livello nobiliare e politico. Questi tre matrimoni tra i Savoia Carignano e gli Asburgo-Lorena non furono minimamente di remora o di ostacolo per i due ultimi Re di Sardegna per abbracciare l’idea grandiosa che si stava affermando negli animi degli Italiani dell’Unità del Paese. Certamente furono lacerati affetti famigliari sia nei riguardi dei parenti di Vienna che di quelli di Firenze nonché  verso i congiunti di Napoli, ma quando la Politica, unita all’amor di Patria dominano gli eventi è nella tradizione di Casa Savoia di non avere alcun dubbio sulle scelte da fare. La stessa determinazione e tenacia nella coerenza del comportamento riconosciute da tutti gli storici e commentatori che si sono occupati delle vicende del nostro Paese e dei Sovrani che si sono succeduti sul trono. Qualità mantenute anche nell’esilio degli ultimi sovrani d’Italia e vive nei cuori dei loro Eredi, ai quali guardano con affetto milioni di cittadini Italiani, che non perdono la speranza di un rinnovarsi futuro dei destini della Nazione nel solco del patto del 1861 tra gli Italiani e Casa Savoia.

mercoledì 13 aprile 2011

Nessun Tiziano a Milano

Da un volume edito da Rizzoli-Skira apprendiamo la collocazione geografica delle opere presenti in Italia del celeberrimo pittore Tiziano Vecellio sulla cui fama è superfluo aggiungere parole. I musei e le chiese di Napoli, di Firenze e di Venezia nonché di Padova e di Brescia hanno il privilegio di ospitare alcuni capolavori di questo grande Maestro, Roma ha un solo quadro, Milano non ne ha nessuno. Questi dati naturalmente non tengono conto di eventuali altre opere presenti in case private e non di pubblica conoscenza per la comprensibile riservatezza di famiglie privilegiate. A Milano esisteva un’opera del Tiziano, un dipinto di cm. 303x108, quindi di dimensioni notevoli, e sino al 1797 era collocato in una cappella di destra della chiesa di leonardesca memoria di santa Maria delle Grazie, in corso Magenta. Rappresentava e rappresenta, perché esiste ancora, l’incoronazione di spine di Gesù prima del suo definitivo martirio; il pittore in questione ha dipinto due quadri di questo medesimo argomento, l’altro è esposto in un museo di Monaco di Baviera. Come ci insegna la storia, dopo gli eccessi della rivoluzione la Francia condotta da Napoleone Bonaparte occupò parte dell’Europa e, senza addentrarci nelle vicende politiche dell’epoca, nel 1797 le truppe francesi erano di stanza a Milano e nel corso dell’azione di soppressione dei conventi e nella confisca dei beni ecclesiastici, si impossessarono, en passant, del quadro del Tiziano che oggi fa bella mostra di sé nel museo del Louvre a Parigi. Basta entrare nella suddetta chiesa di Milano per apprendere  quanto stiamo dicendo: una targhetta conferma tutto ciò, poi basta andare… a Parigi al Louvre e ammirare l’opera. L’argomento dei capolavori italiani saccheggiati dagli invasori stranieri è stato dibattuto più volte ma ci sembra utile ripeterlo. L’Italia ha recentemente restituito ai legittimi proprietari, il popolo etiopico, l’obelisco di Axum a suo tempo depredato durante il nostro delirio imperiale, i Francesi non potrebbero fare altrettanto con noi? Ci rendiamo conto dell’immenso valore artistico di una simile opera? Del suo richiamo turistico e  infine perché no del suo eventuale valore venale? Milano è talmente bella, sissignori è bellissima, che non ha bisogno di un quadro in più o in meno per aumentare la sua fama o per  attirare turisti comunque un Tiziano ci starebbe bene…
.

Dittature dinastiche e vicende Egiziane

Sulla scia di altri despoti medio-orientali di cui abbiamo già parlato in un  precedente articolo e che esercitano il loro potere dopo di essere succeduti al proprio padre , anche l’ottantaduenne Mubarak si apprestava a cedere il governo dell’Egitto al proprio figlio, ma il popolo non si è dichiarato d’accordo e si è sbarazzato di questi personaggi. La vicenda è tuttora in corso per cui è prematuro fare previsioni circa come si concluderà. Una cosa si deduce da questa e da analoghe situazioni e cioè che la forma istituzionale monarchica ereditaria in quanto formalmente sinonimo di correttezza è tuttora di attualità come soluzione circa la tenuta di un potere politico e, se rigenerata da criteri di modernità e di democrazia, può essere attuata o almeno viene largamente presa in considerazione da certe Nazioni che riconoscono in una linea dinastica il migliore antidoto a un susseguirsi di golpe militari o conseguenti instabilità istituzionali. Occorre però appunto una maturità popolare che non ci pare di scorgere in Paesi pur di antica civiltà come l’Egitto, dove la piazza ha avuto il sopravvento su una dittatura trentennale che, secondo le accuse dei promotori dell’attuale sommossa ha rovinato il Paese arricchendosi alle spalle dei cittadini, la medesima vicenda accaduta nella vicina Tunisia dove la moglie del deposto dittatore è espatriata con un tesoro di alcune tonnellate di lingotti d’oro. L’Egitto ha conosciuto qualche decennio di stabilità e di relativo benessere durante i regni di Re Fuad e di Re Faruk, succeduti al lungo dominio turco poi la casta militare ha imposto il proprio potere sino alle odierne vicende. Eppure questa Nazione  che vanta una storia antichissima con tracce archeologiche uniche al mondo a testimonianza della civiltà fiorita e prosperata all’epoca dei Faraoni e confermata anche sotto la dinastia dei Tolomei e di Cleopatra, avrebbe diritto a una situazione interna stabile e tranquilla per favorire la ripresa della sua maggior risorsa e cioè il turismo, attualmente in fase di stallo per le note vicende. Un turismo di gente proveniente da ogni parte del mondo e alimentato anche dalla vicina Italia: è risaputo che molti nostri concittadini non mancano di onorare nella chiesa di santa Caterina di Alessandria d’Egitto le spoglie di Re Vittorio Emanuele III che vi è sepolto dopo pochi anni di esilio e la fraterna ospitalità di Re Faruk e l’amicizia di questa civilissima Nazione.
.

Gocce di sangue blu

Anche l’autorevole Corriere della Sera, a pagina 17 di lunedì 7 marzo 2011, parlando delle imminenti nozze del principe William futuro Re d’Inghilterra, sostiene che nelle vene di Kate Middleton, la promessa sposa, non scorre neppure una goccia di sangue blu. Eppure nel linguaggio giornalistico esiste un termine: “glisser” cioè scivolare, svicolare prenderla alla larga che consente di non fare affermazioni drastiche troppo impegnative e categoriche per dire e non dire senza impegnarsi troppo. Niente, Kate è una commoner, una Cenerentola dei tempi moderni, una borghese con un nonno minatore e allora è “senza una goccia di sangue blu”. Non importa se ROGLO uno dei più prestigiosi e autorevoli siti informatici che si occupa di genealogia (e con cui il sottoscritto si onora di collaborare) ha dimostrato, generazione dopo generazione senza saltare alcun personaggio che la suddetta futura principessa vanta nelle sue vene il sangue di Carlo Magno e di una serie di altri sovrani di molte Nazioni europee e di una sequela di principi e principesse, tutto questo è azzerato dalla suddetta affermazione. Indubbiamente si tratta di “gocce” perché sono passati dei secoli prima che il sangue blu giungesse nelle vene di Kate, ma permettete che un pochino sia  arrivato a destinazione? E allora diciamo che questa probabile futura Regina del Regno Unito è una borghese, che la sua famiglia non è nobile che tra i suoi avi ci sono anche dei lavoratori manuali, ma non diciamo che è senza una goccia di sangue blu! Si dirà che risalendo all’anno Mille e anche più indietro cioè contando oltre quaranta generazioni con centinaia di migliaia di antenati, tutti discendiamo anche da Carlo Magno, d’accordo è probabile, ma nel caso di Kate  gli storici genealogisti citano nome e cognome di ogni anello di questa ascendenza, mentre per molti di noi conosciamo a malapena i nomi dei nostri bisnonni. Nell’ottica di questa ricerca vogliamo evidenziare che il sito Roglo (e chiunque abbia un computer può controllare l’esattezza di quanto stiamo affermando) ha recentemente aggiornato la scheda della principessa Marina di Savoia, consorte del principe Vittorio Emanuele e ha evidenziato che anche Renato Ricolfi Doria, padre di Marina e quindi anche lei stessa, vantano in linea diretta ascendenze Imperiali, Reali e Principesche, anche in questo caso con i dati precisi di ogni personaggio, con la firma degli storici ricercatori. Diamo a Cesare quel che di Cesare, e finalmente finiamola di utilizzare frasi stereotipate specialmente in occasioni sbagliate.  E ricordiamoci che oggi nel 2011 le consorti del Re di Svezia, del Re di Norvegia, del Granduca di Lussemburgo e del Principe delle Asturie e la futura Principessa di Monaco sono di nascita borghese e quelle sì (salvo prova contraria) non hanno nelle vene neppure “una goccia di sangue blu”…

mercoledì 2 marzo 2011

Trattative matrimoniali

Mentre si concretizzavano le grandi manovre per la realizzazione del progetto tendente all’Unità dell’Italia il Conte di Cavour non mancava di scandagliare le corti d’Europa in vista di alleanze matrimoniali tra personaggi di Casa Savoia e qualche Principe o Principessa allo scopo di sollecitare la benevolenza di importanti Nazioni verso il piano in gioco. L’anno 1855 era stato particolarmente funesto per la Famiglia Regnante a Torino: era deceduta la Regina  Maria Teresa madre del Re Vittorio Emanuele II e vedova del Re Carlo Alberto, poi si era spento il Duca di Genova, fratello minore del Re e infine era mancata anche la consorte del suddetto Re e cioè la Regina Maria Adelaide, madre dei suoi numerosi figli. Il Sovrano sarebbe stato così libero di sposare la donna con cui aveva una relazione e che gli aveva dato due figli naturali, ma il Conte di Cavour era assolutamente contrario a una tale eventualità: come è noto il nome di questa donna, priva di titoli nobiliari era Rosa Vercellana, e un suo eventuale inserimento nella famiglia Reale avrebbe contrastato con le intenzioni del Conte che mirava a qualcosa di molto più eclatante. Considerato che il Regno di Gran Bretagna non guardava con ostilità all’azione dei patrioti italiani Cavour indusse il Re a intraprendere un viaggio a Londra sia per simpatizzare ulteriormente con i politici inglesi nonché per concretizzare la conoscenza con la Regina Vittoria e infine  per gettare le basi, perché no, per un eventuale matrimonio. Effettivamente la sovrana britannica era particolarmente affezionata a sua cugina Mary Adelaide figlia di suo zio il duca di Cambridge, fratello minore del suo defunto padre il duca di Kent e i vari tentativi per trovare un marito alla cugina erano fino allora falliti per varie ragioni. Mary Adelaide non era brutta ma era decisamente sovrappeso e la sua obesità, oltre a una posizione economica non particolarmente brillante aveva scoraggiato diversi candidati, mentre la Sovrana inglese era entusiasta all’idea che sua cugina diventasse Regina di Sardegna e forse d’Italia. Vittorio Emanuele II in Inghilterra si comportò in maniera giusta, rendendosi simpatico sia ai governanti che alla Regina e ne fanno prova le parole di positivo entusiasmo che Vittoria lasciò scritto nel suo diario, il Re le piacque sia per la sua intelligenza che per la sua franchezza, mentre lo stesso giudizio non fu condiviso da Mary Adelaide la quale forse già innamorata dell’uomo che poi sposò, si dichiarò contraria a un matrimonio col Re Sabaudo. Crediamo che anche Vittorio Emanuele abbia tirato un sospiro di sollievo per non aver trascinato a Torino una simile palla al piede, e per aver potuto continuare la sua relazione con la “bella Rosina”.La difficoltosa figlia del duca di Cambridge sposò poi il duca Francesco di Teck, rampollo nato da un matrimonio morganatico di un principe della casata tedesca dei Re di Wurttenberg: da loro oltre a tre figli maschi nacque la Principessa Mary di Teck, fidanzata in un primo tempo al duca di Clarence, primogenito del Principe di Galles, e ricordiamo che dopo la morte prematura del duca di Clarence su cui aleggiò il sospetto di essere addirittura “Jack lo squartatore”Mary di Teck sposò poi colui che divenne il Re di Gran Bretagna Giorgio V. E tutto questo sotto l’ala protettiva della ormai anziana Regina Vittoria. Ma questa è tutta un’altra storia…mentre il Conte di Cavour realizzò un altro progetto matrimoniale tanto utile all’evoluzione dell’Italia e cioè quello tra Clotilde di Savoia la primogenita del Re Galantuomo con il Principe Giuseppe Gerolamo Bonaparte  cugino di Napoleone III.
Livio Orlandini.

La scomparsa di Yara e cose varie

 “Chiunque abbia visto qualcosa, o comunque sia al corrente di dati o notizie relativi a questa giovane donna scomparsa a Brembate, è pregato anzi è doverosamente esortato a comunicarlo a chi è preposto alla sua ricerca per riportarla in seno alla sua famiglia” parole sacrosante diffuse  dai media e particolarmente da tutte le reti televisive. Poi il nome, il cognome , l’indirizzo l’immagine , la faccia, l’abitazione, la targa dell’auto,i dati dei vicini di casa  e quant’altro  possibile vengono divulgati e pubblicizzati sconvolgendo la vita del malcapitato che ha creduto di adeguarsi onestamente a questa missione. Guai a lui se quel che riferisce agli investigatori non è perfettamente descritto nei minimi particolari, se nei diversi interrogatori rettifica o dimentica cose dette in precedenza come se in quel precedente momento, anziché pensare ai propri affari avrebbe dovuto filmare gli eventi di cui era stato casualmente testimone. Mitomane o paranoico è il minimo epiteto che gli viene affibbiato se risulta che il suo telefono cellulare si trovava in un luogo diverso dal punto della presunta scomparsa della persona ricercata e questo come prova che non aveva potuto assistere a ciò che asserisce di aver visto: e ciò partendo dal presupposto che il cellulare, come un terzo occhio o come una terza gamba sia incastrato nel corpo e non possa essere stato lasciato momentaneamente da qualche altra parte! Ma di questo passo, il comune onesto cittadino che per pura combinazione avesse qualche testimonianza da riferire cosa pensate che dica tra se e se? Semplicemente: “Ma chi me lo fa fare?”Altro caso analogo che può coinvolgere un passante onesto cittadino che assiste a una lite con sparatoria, come effettivamente è accaduto:cade a terra un ferito da coltello o da arma da fuoco e l’onesto cittadino se la dà a gambe: “vergogna|” bisognava chinarsi sul ferito e aiutarlo! Bello a dirsi  davanti al computer di una redazione o sul divano del proprio salotto ma ci rendiamo conto che nella realtà è tutto diverso….? E allora piano nelle critiche o nella demonizzazione di chi non ha lo spirito di “Sherloch Holmes” cioè di un investigatore nato, o l’animo eroico di Enrico Toti che lanciò la stampella contro il nemico. Qui siamo gente tranquilla e non personaggi da libro “Cuore”.
Livio Orlandini

Educazione sessuale ieri e oggi

Siamo nel secolo scorso, l’anno non ha importanza, e il ragazzo tredicenne legge su un muro la frase:”viva la f…”. Sa benissimo cos’è la f…gliel’hanno spiegato per filo e per segno gli amici della strada o altri del palazzo in cui abita o i compagni di scuola e, anche se non ne ha mai vista una potrebbe descriverla anche nei minimi dettagli. E’ un argomento che non viene trattato in famiglia ma questa volta il ragazzo fa il finto tonto e rientrato a casa dice alla madre quello che ha letto sul muro e le chiede cosa sia questa f…”Chiedilo a tuo padre” risponde la madre con aria assolutamente indifferente Interpellato in merito al rientro dal lavoro il padre come se fosse la cosa più ovvia del mondo risponde : “…la femmina del fico, diamine!”Capitasse oggi il padre ignorante o finto ignorante risponderebbe:”..ma che ti mando a scuola a fare?” pensando che rispetto ai suoi tempi, il corso di educazione sessuale sia ormai una materia insegnata regolarmente. E invece non è proprio così. perchè da questo punto di vista siamo ancora all’età della pietra. Certo alcuni insegnanti volonterosi come quello d’italiano specializzato in letteratura si danno da fare a stuzzicare i pruriti degli alunni adolescenti commentando nella Divina Commedia le vicende del Minotauro un uomo con la testa di toro. Sua madre Pasifae, moglie di Minosse lo concepì accoppiandosi con un toro di cui si era follemente innamorata e inserendosi in un simulacro di mucca che aveva fatto costruire in legno appositamente per stimolare i sensi del bovino, “E vi lascio immaginare le contorsioni che dovette fare per raggiungere la posizione adeguata..” Questo è il commento del prof. del giorno d’oggi agli allievi sghignazzanti. Per non parlare della professione della bellissima Taide definita sbrigativamente “la puttana” dal divino poeta, una attività praticata largamente anche ai nostri giorni” commenta lo zelante insegnante di lettere
Livio Orlandini

lunedì 28 febbraio 2011

Da Trebisonda a Vibo Valentia

Nei giorni di Natale 2010, appena trascorso, una strage orribile è stata compiuta a Vibo Valentia nella tormentata terra di Calabria: un padre e quattro figli nel fior degli anni sono stati assassinati  a colpi d’arma da fuoco. Di questa famiglia è rimasta la vedova e madre dei giovani e due sue figlie. Non vogliamo né possiamo scandagliare i motivi di questa strage, pare causata da antichi dissidi ma ci preme mettere in risalto l’orrore di un fatto simile. Non siamo nel Far West ma in Italia e premeditatamente vengono eliminate cinque persone che avevano provocato un odio immenso senza che qualcuno, autorità, parenti, amici, sacerdoti, legali o cittadini comuni avessero intuito e denunciato quanto stava esplodendo, anzi chissà quanti temevano o sospettavano ciò che stava maturando nell’animo degli assassini senza che nessuno si sia sentito in dovere di segnalare, di mettere in guardia, di denunciare qualcosa. Si parla di omertà, di farsi i fatti propri, di non impicciarsi dei casi e casini degli altri e quindi ci si trova con cinque cadaveri crivellati di colpi. Questa più che inciviltà è barbarie bella e buona.  Non tanto per l’elevato numero delle vittime, fatto che naturalmente colpisce anche perchè basta un solo morto ucciso premeditatamente per provocare indignazione, ma per l’atmosfera di corruzione, di soprusi, di illegalità, di tollerata disonestà, di complicità mafiosa in cui vivevano vittime e carnefici. Ora naturalmente le Autorità indagano a tutto spiano e si teme l’allargamento della “faida” con vendette e contraccolpi….Una pietà immensa la provocano le donne rimaste di questa famiglia distrutta e con un paragone  di spessore storico molto ma molto differente citiamo la strage perpetrata dai turchi nel 1463: Conseguentemente all’invasione di Costantinopoli l’esercito del Sultano Maometto II aveva anche occupato e annientato l’impero di Trebisonda nella regione del Ponto e deportati in prigionia tutti i componenti della famiglia imperiale. Dopo qualche mese di dorata reclusione  l’ex sovrano che precedentemente ostentava l’altisonante titolo di Gran Comneno di Trebisonda, e i suoi sei figli maschi vennero strangolati dai carnefici del sultano. La derelitta ex imperatrice aveva il tempo di seppellire i suoi cari e poi moriva di crepacuore nell’apprendere che la sua unica figlia era accomunata nell’harem del sultano. Un altro fatto analogo che colpì tutti gli Italiani nell’ultimo periodo della seconda guerra mondiale fu la fucilazione da parte dei nazifascisti dei sette fratelli Cervi in provincia di Reggio Emilia: avevano collaborato coi partigiani e pagarono con la vita la loro lotta per la liberazione. Anche la madre dei Cervi morì poco dopo di crepacuore mentre l’anziano padre visse nel culto dei suoi Martiri.
Livio Orlandini

La fidanzata di William

Forse gli appassionati di una materia che si chiama genealogia o meglio gossip royal avrebbero preferito che il futuro Re d’Inghilterra si fosse fidanzato con una principessa o almeno con una lady inglese come la compianta Diana Spencer, ma bisogna adeguarsi ai tempi e accettare  questa futura Regina, Kate Middleton  nipote di un minatore e “senza una goccia di sangue blu” come dicono certi saccenti commentatori televisivi. Cosa?  Che la bella futura sposa del simpatico William non appartenga a una famiglia nobile questo è giusto dirlo ma per piacere la frase “senza una goccia di sangue blu”questo sarebbe molto meglio tacerlo quando si parla di una ragazza che ha tra i propri antenati diretti cioè avi e proavi  pur lontani che siano, una sfilza di Re  e Regine di Nazioni di tutta Europa, e questi commentatori tuttologi che oggi parlano di calcio, domani di diete dimagranti e poi pontificano sulle Case Reali sarebbe opportuno che si informassero prima di aprire la bocca. Avi e proavi, antenati non prozii, cioè persone da cui discende Kate in linea diretta? Un nome ? Carlo Magno è troppo poco? E un po’ più indietro come gli Imperatori Romani Teodosio I, Valentiniano I Valentiniano III e Galla Placidia? E un po’ più recenti come una sequela  di sovrani sia d’Inghilterra che di Francia, d’Ungheria, di Castiglia, di Scozia  ecc. ecc. compresi personaggi di Casa Savoia? A me sembra che basti. Cari giornalisti che partecipate alle tavole rotonde in TV per dire fesserie forse voi replicherete che con la frase sulla mancanza di gocce di sangue blu volevate alludere al fatto che Kate appartiene a un famiglia borghese e non nobile, allora oltre che a un corso di aggiornamento sulla Storia delle grandi dinastie, voi avete bisogno anche di un corso di grammatica o di sintassi, in modo di potervi spiegare meglio quando parlate. Piccolo inciso: ma siamo sicuri che nelle vene di Kate il sangue del minatore e quello di Carlo Magno non accendano una miscela esplosiva?
Livio Orlandini

Qualche passo avanti…

Ormai da circa 65 anni le parole “viva l’Italia” o l’inno di Mameli eravamo ridotti a sentirli solo durante le partite di calcio ma ora anche il Festival di San Remo ha capito che per fare  audience questi argomenti possono servire e allora ha coinvolto Roberto Benigni che, nobilitato da un Premio Oscar, ha assunto agli occhi dei fruitori di schermi e teleschermi una figura carismatica adatta al compito di ricordare agli Italiani che non è un peccato essere orgogliosi della nostra identità e che forse le nostre virtù sono maggiori dei nostri difetti. Quindi stiamo facendo qualche passo avanti rispetto all’orgia di auto-denigrazione che ci ha accompagnato specie nel settore cinematografico per alcuni decenni. In questa ottica va vista anche la (sembra definitiva) decisione governativa di dichiarare festiva la data del 17  marzo 2011- relativa ai 150 anni dell’Unità d’Italia. Come ha già detto qualche altra voce autorevole il 17 marzo 1861 non fu proclamata ufficialmente l’unità del nostro Paese ma fu sancita la nascita del Regno d’Italia sotto la sovranità costituzionale della Casa di Savoia, un patto tra gli Italiani, che si erano battuti nelle guerre del Risorgimento e che poi avevano ribadito con i Plebisciti, e la Dinastia che aveva realizzato l’anelito unitario. Poi dato che la Storia è un divenire di eventi una limitata maggioranza di cittadini, il 2 giugno 1946,  decise che la Monarchia era una sovrastruttura superflua e preferì la forma repubblicana. Eppure nella consultazione per il referendum istituzionale ben 10.719.284 di Italiani si confermarono monarchici (e non si attese neppure il ritorno in Patria di migliaia di nostri concittadini ancora ex prigionieri di guerra) quindi ancora legati a quel patto inscindibile di fedeltà  e di riconoscenza verso i Sovrani Sabaudi che avevano messo in gioco tutto ciò che possedevano per l’unione di tutti gli Italiani. Ebbene, certo sappiamo che il referendum non è una semplice consultazione elettorale che si replica ogni sei anni, di questi milioni di Italiani (ormai quasi tutti morti) non si parla mai, eppure non protestarono e operarono lealmente per la ricostruzione del Paese. Allora in questo Centocinquantesimo anniversario, che avrà un altro suo “clou” anche il 2 giugno con la presenza a Roma di molti Capi di Stato, non sarebbe il caso di onorare la memoria degli sconfitti del 1946, il Re Umberto II per primo, che non provocarono sommosse ma operarono per la pacificazione? Basterebbero poche parole ma concrete, o addirittura la sepoltura al Pantheon degli ultimi due Sovrani e delle loro Consorti; 10 milioni e 7 centomila Italiani ne avrebbero diritto e sarebbero ulteriori e positivi passi avanti per l’Unità, per la Storia e infine per l’Italia!
.

1938 Antisemitismo in Italia

1938 Antisemitismo in Italia.
A scanso d’equivoci ogni persecuzione per motivi razziali è una prova d’inciviltà e chiunque storce anche un solo capello a un altro individuo solo perché questo appartiene a quella che considera una razza inferiore è un barbaro che merita disprezzo e pene giudiziarie. Detto questo riteniamo opportuno mettere i puntini sugli “i” di alcuni argomenti inerenti questo dibattutissimo settore della storia europea e mondiale. In primo luogo le inique leggi razziali emanate dal governo italiano nel 1938 colpivano meno dell’1 per mille dei cittadini di questo Paese considerato che la popolazione censita era di 45.000.000 di abitanti e gli ebrei italiani erano circa 40.000. Ribadiamo che questo esiguo numero non giustifica nulla ma è opportuno ricordare questo dato. Secondo fatto da non sottovalutare: da secoli, la chiesa cattolica in testa, veniva  ribadito il disprezzo per gli ebrei con epiteti vari di cui uno dei più espliciti era: “deicidi” cioè assassini di Gesù, quindi la gente comune non aveva mai provato per gli ebrei sentimenti di grande simpatia. Pertanto le leggi razziali furono assimilate dai non colpiti dalle sanzioni con sentimenti vicini all’ indifferenza. Se peraltro ci furono atteggiamenti di contrasto, se non di sdegno, questi non emersero con pubbliche dichiarazioni o manifestazioni né da parte del popolo minuto né da parte di intellettuali o personalità dell’arte o della politica: si obietterà che il Paese era sotto il regime fascista che non tollerava alcun dissenso, ma è notorio che i veri eroi non hanno paura di nulla ma in quella occasione gli eroi mancarono. Un altro fatto che si nota quando vengono ribadite le vicende degli ebrei italiani è che i commentatori accomunano le suddette leggi del 1938 con le persecuzioni perpetrate dai nazisti e dai fascisti della repubblica di Salò negli anni 1943/45. Quindi e ripetiamo, senza giustificare nulla, che le deportazioni, le camere a gas, i forni crematori, la Risiera di San Saba e altre nefandezze sono fatti avvenuti verso la fine della seconda guerra mondiale, e non erano certo inerenti le leggi del 1938.
Livio Orlandini